Bimba ritirata dal nido perché l’ausiliaria è Down. Aipd: “Atto discriminatorio”
Il fatto sarebbe avvenuto in un asilo di Ferrara. L’associazione Lo Specchio che si occupa di inserimento lavorativo di persone disabili in città: “Non facciamo beneficenza, se un disabile lavora è perché è in grado di farlo”
08 ottobre 2015
FERRARA “Leggere queste notizie mi rende molto triste. Noi ci battiamo per le autonomie e l’inclusione, poi tutto si sgretola di fronte a episodi come questo”: Maria Teresa Graziani, presidente dell’associazione Lo Specchio, commenta amaramente quanto successo in un asilo nido della città. Secondo il quotidiano La Nuova Ferrara, infatti, una mamma avrebbe ritirato la sua bimba di 10 mesi dalla struttura a causa della presenza di una’ausiliaria con la sindrome di Down, denuncia arrivata direttamente dalla direttrice del nido. La donna, 37 anni, avrebbe già una decennale esperienza in ambito scolastico: suo il compito, nel caso specifico, di assistere le tre educatrici nella cura dei piccoli (ad esempio al momento del cambio) e pulire i locali.
“Il nostro slogan è fare cultura della disabilità, e sempre più spesso ci rendiamo conto che manca completamente”, ammette Graziani. Lo Specchio è un’associazione di genitori con figli disabili che puntano a valorizzare le abilità di ognuno, proponendo situazioni di inclusione in ambiti non protetti, sia lavorativi sia ricreativi: “I contorni della vicenda ancora non sono chiarissimi – continua Graziani –. Per quello che è dato sapere al momento, ritengo che il vero problema sia della mamma. Credo che dietro quel rifiuto si nascondano altre paure, come quella di lasciare il proprio figlio con dei quasi sconosciuti, di consegnarlo a persone che – tanti genitori ne sono convinti – non saranno mai bravi come loro. Piuttosto che ammettere questi timori, c’è chi preferisce nascondersi dietro l’aspetto più macroscopico: c’è ancora tantissima paura della diversità”.
Graziani sottolinea come l’iter per l’inserimento lavorativo di una persona disabile sia lungo e complesso: “Per permettere a mio figlio e a un’altra ragazza di fare un tirocinio in un bar ci sono voluti 7 mesi di carte e commissioni. Quello che a molti sfugge è che noi non chiediamo che tutti i disabili debbano fare a tutti i costi un lavoro: semplicemente cerchiamo di mettere a frutto nel migliore dei modi le loro abilità residue, se possibile anche in campo lavorativo. I controlli sono così severi che se una persona disabile fa un lavoro è perché è tranquillamente in grado di farlo: qui non si fa beneficenza”.
Graziani punta il dito contro la comunicazione della disabilità – “sbagliata e superficiale”– e la conoscenza: “Se si hanno contatti e si instaurano rapporti, il
problema si elimina da solo. Se resta uno spauracchio e lo si coltiva come tale diventa un problema gigante. Ma se penso che questa bimba, così piccola, sta già ricevendo questo tipo di educazione, posso solo immaginare che adulto diventerà”.
“L’inserimento lavorativo delle persone disabili è regolato dalla legge 68 del 1999 – aggiunge Anna Contardi, coordinatrice nazionale di Aipd, associazione italiana persone down –. C’è poco da aggiungere”. Contardi promuove la legge italiana, che consente di lavorare al 12/13 per cento delle persone con disabilità (percentuale più alta al nord, che diminuisce mano a mano che si scende lungo la penisola): si passa dal tirocinio all’assunzione, e tutti i papabili lavoratori sono valutati sotto molteplici punti di vista. Per prima cosa si valuta la loro idoneità a intraprendere un percorso di collocamento. In caso di idoneità ci si rivolge a un ufficio di collocamento o a specifici servizi di inserimento lavorativo (che in Italia, però, non sono presenti in tutte le Aziende Usl), spesso con la mediazione di un ente o di una associazione precisa. “Anche noi di Aipd abbiamo attivato servizi specifici, che si occupano dell’orientamento dei ragazzi e della sensibilizzazione delle aziende. Abbiamo anche attivato piani di tutoraggio per l’accompagnamento delle persone disabili sul posto di lavoro”. Sul caso di Ferrara, se i dettagli emersi sin qui fossero confermati, “parlerei di atto discriminatorio dettato dall’ignoranza di chi non sa nulla della sindrome di Down. E dico ignoranza perché preferisco non pensare che sia cattiveria”. (Ambra Notari)
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